Cosa vogliamo diventare?
Questa settimana avrei voluto raccontare un altro progetto a cui tengo molto. Solo che poi mi sono trovato a scrivere proprio in questi giorni, quelli del Venticinque Aprile e del Primo Maggio...
Questa settimana avrei voluto raccontare un altro progetto a cui tengo molto, un percorso che coinvolge gli adolescenti. Solo che poi mi sono trovato a scrivere proprio in questi giorni, quelli del Venticinque Aprile e del Primo Maggio. E in questi ultimi tempi alcune feste sembrano essere a rischio dimenticanza o, ancora peggio, sembrano appartenere solo a una fetta della popolazione (a detta di alcuni esponenti politici). Ma tu lo sai già, a futura memoria: venticinque aprile (festa della liberazione dal nazifascismo) e primo maggio (festa dei lavoratori).
Primo maggio, festa dei lavoratori e delle lavoratrici. Dei loro diritti e della tutela alla vita. Ora mentre scrivo piove, qui a Torino. E a quanto pare il tempo non è dei migliori nemmeno a Roma dove il Concertone è tornato in Piazza San Giovanni. Le immagini di questo evento musicale scorrono sullo schermo. Ad aprirlo ci sono anche i genitori di Lorenzo, un ragazzo friulano che ha perso la vita a diciott’anni nel suo ultimo giorno di tirocinio in fabbrica. Tirocinio chiamato anche “Alternanza Scuola / Lavoro” dove la vita non è stata tutelata.
E poi inizia la musica, con uno dei primi gruppi a salire sul palco, l’Orchestraccia, che ricorda una cosa importante: i lavoratori della cultura non sono “addetti allo svago”. Forse lo sai: in questo spazio provo a rimettere in ordine i pezzi del mio percorso. Mi sembra un ottimo pretesto per comprendere il filo conduttore che unisce alcune delle esperienze culturali che ho vissuto e che vivo. La mia lente di ingrandimento è il teatro ma, come puoi scoprire da queste storie, grazie a questo linguaggio, ho scoperto nel tempo molte altre cose che vanno al di fuori di quello che si pensa quando si pensa al “teatro”.
Non solo svago, appunto, ma cultura.
Dovrai perdonarmi ma oggi va così, la prendo alla larga e prometto di tornare subito al punto centrale... C’è uno storico che si chiama Harari, lui ama definirsi futurologo, ha scritto molte cose interessanti. Per esempio nel suo libro “Sapiens: da animali a dèi. Breve storia dell’umanità” racconta come in tempi antichi esistevano diverse specie umane. Quella che è riuscita a non estinguersi, a proseguire nel tempo garantendo la sopravvivenza alla nostra specie, è stata una: quella capace di “immaginare”. Immaginare miti, leggende, religioni, soldi, regole di convivenza, nazioni, eccetera eccetera. In altri termini immaginare finzioni, ovvero “la capacità di immaginare le cose e di immaginarle collettivamente”.
Immaginare scenari possibili sul futuro. Quindi Harari, da bravo futurologo, si chiede una cosa semplice: “cosa vogliamo diventare?”. Ed è chiaro che, anche il lavoro, entra a far parte di questa identità umana da rinnovare di epoca in epoca. Così ho trovato su internet un suo articolo pubblicato sul The Guardian che parla del lavoro, e in questa settimana, che è quella del Primo Maggio, me lo sono letto. Condivido con te un piccolo passaggio:
La maggior parte dei posti di lavoro che esistono oggi potrebbero scomparire entro decenni. Man mano che l'Intelligenza Artificiale supera gli umani in sempre più compiti, sostituirà gli umani in sempre più posti di lavoro. È probabile che appaiano molte nuove professioni: i designer del mondo virtuale, per esempio. Ma tali professioni richiederanno probabilmente più creatività e flessibilità. (…) Il problema cruciale, quindi, non è creare nuovi posti di lavoro. Il problema cruciale è creare nuovi posti di lavoro che gli esseri umani eseguano meglio degli algoritmi.
Bene, che il lavoro sia un diritto lo dice anche la nostra Costituzione. Ma il lavoro muta, cambia forma e direzione. Harari ne parla chiaramente: abbiamo bisogno di nuovi lavori che non possono essere sostituiti da un algoritmo o dall’intelligenza artificiale.
Insomma, io penso che il punto sia chiaro: a una forte innovazione tecnologica possiamo lavorare, oggi, su una forte innovazione sociale (o forse potremmo chiamarla innovazione relazionale). Nella vita come nel lavoro. Per questo le arti relazionali, come il teatro, possono aiutarci a dare un senso alla direzione da prendere: porre domande di senso, generare dialogo, costruire relazioni ed esperienze d’interazione sociale attraverso il linguaggio creativo. Fare, in fondo, quello che un “maestro” teatrale polacco (Grotowski) suggerisce: “scoprire non ciò che è nuovo, ma ciò che è stato dimenticato”.
Va bene, chiudo confessandoti una cosa. Qualche mese fa tutti parlavano di Chat GPT e volevo capire cos’era. Non so se hai avuto modo di conoscerla ma ti racconto la mia esperienza: Chat GPT è un’AI (Artificial Intelligence) con cui puoi fare conversazione online e in qualche modo può risponderti “più o meno” come un umano. Solo che dall’altra parte non c’è un umano, ma un robot.
Io, però, non volevo fare soltanto conversazione ma volevo fare alcune domande per capire la differenza tra noi (umani) e loro (robot). Così ho fatto qualche domanda per conoscerla meglio, questa Intelligenza Artificiale, e per capire come conviverci nel tempo. Ti lascio con le domande che ho fatto e le risposte che mi ha dato. Spero possano essere utili anche a te per provare a rispondere alla domanda di qualche riga fa ovvero “cosa vogliamo diventare”:
Potremmo dire, in un certo senso, che sei disumano?
Sì, in un certo senso si potrebbe dire che sono disumano poiché non ho la capacità di provare emozioni, sensazioni o coscienza, e sono solo un'intelligenza artificiale progettata per fornire informazioni e rispondere a domande. Tuttavia, anche se non sono un essere umano, posso ancora aiutare e fornire informazioni utili a chi interagisce con me.Secondo te è interessante se un umano parla con un robot come te?
L'interesse di un umano per la conversazione con un robot dipende dalle motivazioni individuali dell'umano e dalla capacità del robot di fornire informazioni utili e rispondere in modo soddisfacente alle domande. Per alcune persone, la conversazione con un robot può essere un modo per ottenere informazioni e risposte in modo rapido e preciso, mentre per altre può essere un'esperienza noiosa o poco coinvolgente. In ogni caso, la conversazione tra un umano e un robot può essere un'opportunità per apprendere di più sull'intelligenza artificiale e le sue applicazioni.Ti chiedo l’ultima cosa, rispondimi sinceramente: per gli umani potrebbe aver senso innamorarsi di un robot? L'innamorarsi di un robot non è un'esperienza comune e non è supportata dalla maggior parte della comunità scientifica e psicologica. Gli esseri umani sono progettati per instaurare relazioni emozionali e interpersonali con altri esseri umani, e non con entità artificiali come i robot. Anche se i robot possono essere progettati per interagire con gli esseri umani e imitare alcune forme di comportamento umano, non hanno le stesse capacità emotive e cognitive degli esseri umani e non possono sviluppare relazioni significative o durature con gli esseri umani. Pertanto, innamorarsi di un robot potrebbe essere considerato poco realistico o addirittura controverso.
/// L’immagine che vedi all’inizio è stata scattata nel 2021 da un ragazzo diciottenne di una scuola di Torino. Era la sua postazione di “studio” durante il lockdown, quando le scuole erano chiuse a causa della pandemia per Covid. Insieme alla DAD (Didattica a Distanza) anche i laboratori di narrazione che curavo si erano trasformati in incontri “a distanza” e uno dei primi esercizi era quello di descrivere con il proprio smartphone il luogo in cui ognuno di loro si trovava.
/// Alcuni me lo hanno già scritto, rinnovo l’invito perché mi piacerebbe costruire qualcosa insieme con te: se vorrai in una delle prossime volte mi piacerebbe inviarti delle domande scritte e leggere io - grazie alle risposte - alcune tue storie, anche piccolissime. Potrebbe essere una piccola parentesi per qualche racconto collettivo di Precise storie. Basterà fare “rispondi” a questa mail (se stai leggendo questa storia dal tuo indirizzo mail) scrivendo “Va bene, ci sto!” e la tua risposta mi arriverà direttamente. Oppure se ti è più comodo, quando vorrai, basterà scrivermi a questo indirizzo: precisestorie@andreaciommiento.it.
/// Lo sai, se ti fa piacere c’è un modo per interagire con queste storie. Puoi cliccare qui sotto scegliendo tra i bottoni: “Like” (per dire che ti è piaciuto questo racconto), “Comment” (per scrivere tu un pensiero o qualcosa che pensi sia collegato a quello che hai letto) , “Share” (per condividere il link a qualche persona vicina a te via mail, via Facebook, Instagram, WhatsApp o Twitter). Fammi sapere se interagirai :-)