Hai qualcosa da raccontare?
Enoch dice, vorrei costruire una storia con te. Come la mettiamo? Io lo guardo e dico, sì, va bene. Hai qualcosa da raccontare? Non lo so, quello che so è che vorrei scriverla con te...
A un certo punto un ragazzo è seduto sul divano rosso del foyer del Teatro Valle di Roma. Sta sbucciando una mela con un coltello, mi siedo accanto e mi chiede se ne voglio un pezzo. Grazie: come ti chiami? Enoch.
Io lo conosco così, Enoch. Il Valle era stato occupato nel 2011 ed esattamente un anno dopo, nel 2012, mi ritrovo lì. Anche se oramai non vivo più a Roma. Mi ritrovo lì per una settimana perché con Vacis avevamo deciso di portare un piccolo spiraglio di “Cittadella del Teatro” anche al Valle Occupato. Alcuni di noi, dopo l’esperienza di Alessandria, volevano dare spazio a quel tipo di proposta e così avevamo organizzato una settimana di laboratori al Valle chiamandoli “Schiera: cantiere dell’azione, del canto e della parola” con oltre un centinaio di partecipanti.
Enoch lo avevo conosciuto lì, e quando un po’ di tempo dopo, nel 2013, gli racconto di EduScé LAB lui mi dice che voleva venire alle Officine Ansaldo di Milano a seguire il primo weekend di quel nuovo progetto. Da Roma quindi prende un treno e partecipa ai laboratori d’educazione alla scena e creazione teatrale. Ne aveva bisogno? Chi lo sa… Lui aveva fatto la Silvio d’Amico (l’accademia nazionale d’arte drammatica) e un po’ di esperienza professionale se l’era già fatta; solo che a volte le motivazioni che ti spingono a seguire un laboratorio non sono solo “formative”.
Dopo quel weekend ci lasciamo così, con Enoch che dice, io vorrei costruire una storia con te e faccio l’attore. Come la mettiamo? Io lo guardo e dico, sì, va bene. Hai qualcosa da raccontare? Non lo so, quello che so è che vorrei scriverla con te.
Ok, ci serve del tempo. Magari vieni nelle prossime date di EduScé e capiamo un po’… Dopo Milano? Bè, ci sarebbe Udine e Torino. Vieni? Va bene. Così quando finiamo i laboratori, nei momenti liberi, iniziamo a capire se questa idea ha senso.
Con le storie è un po’ così, a volte ti sembra che alcune idee possano prendere piede e poi si incagliano nello sviluppo. Avere un’idea a volte può essere un abbaglio, non so a te ma a me capita spesso di avere dietro l’angolo qualcuno che dice: “io ho un’idea, dovrei realizzarla”. Ma poi c’è poco spazio per frasi come “io ho un idea, la sto realizzando”. Le idee, per quanto brillanti, sono sempre effimere. Alla fine è nello sviluppo che vediamo la loro solidità.
Insomma, non era detto che con Enoch dovessimo uscire con una storia solo perché c’era l’idea di farne uscire una. Solo che poi accade questo: mi racconta di un suo viaggio a sedici anni in America negli anni Novanta, dove vive un anno da exchange student in una famiglia ultra americana che lo riempie di cibo spazzatura, allenamenti di baseball e spari al poligono di tiro, scoperte dei primi social network e di internet. E quella sì, era una storia che aveva attirato la mia attenzione. E forse poteva attirare l’attenzione anche di qualche Spettatore.
Così mettiamo in ordine i pezzi e capiamo cosa ha senso raccontare di quel viaggio. Per noi aveva senso raccontarlo per più motivi, innanzitutto perché partivamo da un ricordo autentico. E poi volevamo individuare qualcosa di più, come per esempio uno spaccato americano degli anni Novanta e l’arrivo di internet nelle nostre vite. Dai ricordi di Enoch ciò che stavamo vivendo noi in Italia lui l’aveva vissuto molto prima lì, nella provincia americana degli anni Novanta.
Per lavorare sulle storie abbiamo un po’ di esercizi, perché non ci basta stare seduti a scrivere. Partiamo dall’improvvisazione con l’esercizio delle “Stanze”. Sarebbe bello raccontartelo ma temo richieda un po’ di tempo… Magari più avanti faccio un capitolo dedicato agli esercizi che fanno uscire racconto… Fatto sta, iniziamo a buttar giù diversi capitoli e iniziamo da una prima scena cercando di raccontare la storia di Fausto (che poi è una sorta di personaggio - alterego di Enoch in questo racconto).
La prima scena inizia con Enoch fermo immobile in uno spazio vuoto che osserva il Pubblico che entra in sala, e dopo qualche minuto di silenzio racconta:
“Nessuno ti aveva mai guardato così. Senti una certa leggerezza nella nuova famiglia che ti accoglie. Betty è la tua nuova nonna adottiva, ti trovi bene con lei, ci vai d’accordo. Quello che ti piace degli Stati Uniti sono i colori e la facilità nelle persone che incontri. Quando torni a casa da scuola non devi avvisare nessuno, né i tuoi genitori americani, né Jeremy, tuo fratello. Betty spalanca la porta e grida: Hey man, ge-e-it yet? Come scusi? Did – You – Eat – Yet. È moderna lei. Più moderna di sua figlia. E ti prepara da mangiare tutto quello che gli suona italiano: Fettuccine Alfredo, Spaghetti Bolognesi, Pizza con il Pesto...”
Poi la scena continua con Fausto che si trova in camera, sfondato di cibo grazie alla cena di Nonna Betty, e passa tutta la notte sveglio in una chat facendo sexting e conoscendo una ragazza chiamata CandyGirl. Insomma, da lì in poi nulla sarà come prima nella storia. E scopriamo un sacco di cose su Fausto, sui suoi desideri e sugli Stati Uniti.
Dopo un po’ di “studi” in giro, ad esempio a Villa Torlonia di Roma per il Premio Dante Cappelletti (in teatro questo termine si usa per intendere la presentazione al Pubblico di un piccolo pezzo di spettacolo non ancora chiuso) presentiamo il lavoro in piena periferia romana, a Casal Bertone, nel quartiere dove qualche decennio prima Pasolini aveva girato “Mamma Roma” e Monicelli “I soliti ignoti”.
Qui c’è una sala gestita dal gruppo teatrale di Terry che aveva appena vinto il Premio Scenario e aveva uno spiccato ottimismo sulle sorti del teatro, lei aveva visto un nostro “studio” a Villa Torlonia e ora voleva portarci nel suo spazio.
E noi, ora, avevamo una storia: “Nell’oceano il mondo”.
E così, dopo Casal Bertone, iniziamo a portarla in diversi teatri e festival, e iniziamo a girare un po’. Conosciamo diverse realtà, c’è ZONA K a Milano che in quegli anni aveva da poco aperto uno spazio nel quartiere Isola, c’è il Teatro della Caduta a Torino che ospita il festival Play with food, c’è anche il Teatro dell’Orologio a Roma che vicinissimo a Piazza Navona prova a portare un po’ di cultura contemporanea lottando ogni giorno contro il turismo massivo, e ancora Leggere Strutture di Bologna, eccetera, eccetera. E oltre all’Italia facciamo anche qualche uscita all’estero, per esempio all’Istituto di Cultura Italiana di Bruxelles.
Mentre ti scrivo ci troviamo nel 2023. Questo racconto lo abbiamo scritto nel 2013 e posso dirti che questa storia ha continuato a vivere per un po’ di tempo diventando anche un testo pubblicato (link) nel 2021 e tornando ancora una volta a teatro, a Carrozzerie NOT di Roma, nel 2022.
Va bene, vorrei chiudere a mio modo condividendo qualcosa che ho imparato da questo progetto. Vediamo un po’ … Bè, potrei dire solo una cosa questa volta: non è poi così male iniziare una storia partendo da un ricordo autentico. Tutto qui, per oggi. E tu, hai qualcosa da raccontare?
/// L’immagine che vedi sopra è una piccola parentesi tra una data dello spettacolo e l’altra nel 2013. In quei primi mesi di stesura del racconto Enoch aveva vinto un premio per due persone grazie all’acquisto di un paio di scarpe Timberland. Tre giorni in barca alle Cinque Terre insieme a un Capitano della Goletta Verde di Legambiente. Io, Enoch e il Capitano. Di giorno sembravamo due fishermen ma non ti dico di notte con il mal di mare…
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