Il Sahara non è lontano da noi
Muniti di spray anti-zanzare e molte altre cose in valigia prendiamo un volo e facciamo una prima tappa a Dakar per poi arrivare a Ziguinchor. Qui in Senegal…
Siamo nel 2015. Mi ritrovo dentro a una farmacia di Via Po in centro a Torino. Compro una decina di spray anti-zanzare, belli forti. Si chiamano Jungle formula quattro, consigliati in viaggi estremi tipo “Amazzonia tra le mangrovie con zanzare malariche sul collo”.
Solo che io, qualche giorno dopo, parto per il Senegal. Senza mangrovie e senza malaria. O meglio, la malaria era un rischio possibile ma mi era stato detto da qualche medico e da una manciata di cooperatori: “non preoccuparti, prenditi un bel po’ di spray e tutto si risolve”. Ecco, fatto.
Con me, in viaggio, c’è Arianna. Ci conosciamo da quando abbiamo sedici anni. Ora, nel 2015, lei vive a Parigi e sta concludendo un percorso di studio all’Università di Paris 8 dedicato alla Cooperazione Artistica Internazionale. Ovvero, curare progetti artistici che promuovono la collaborazione tra diversi paesi esteri.
Proprio in quei mesi avevamo ideato un format chiamato Afropolitan LAB. Il percorso che volevamo proporre era questo: laboratori di narrazione teatrale a partire dal tema “afropolitan” (dialogo tra culture occidentali e tradizioni locali africane) e da questo primo punto di vista realizziamo alcuni laboratori in giro per persone afro-discendenti ed europee. Partiamo da Parigi - Arianna è lì - e costruiamo alcune giornate laboratoriali all’interno del Festival Interculturel dell’Università di Paris 8.
E a partire da questo l’Alliance Franco-Senegalaise ci invita a tenere un laboratorio di teatro nella regione della Casamance in Senegal. Paul e Margherita curano la direzione dell’Alliance. Paul è francese e Margherita è italiana. Si occupano da una vita di teatro e questa esperienza in Africa non è la prima: hanno già vissuto in altre zone africane come la Tanzania. Il centro culturale è legato al Ministero degli Esteri francese e loro sono sempre alla ricerca di buoni progetti artistici da portare all’Alliance.
E allora eccoci qui, pronti.
Muniti di spray anti-zanzare e molte altre cose in valigia prendiamo un volo e facciamo una prima tappa a Dakar dove siamo accolti da una persona legata all’Associazione Senegalese di Torino che ci ha aiutato a promuovere il progetto in Italia.
Il giorno dopo prendiamo un traghetto che parte dal porto di Dakar e arriva a Ziguinchor in qualche ora. Ziguinchor è la capitale della regione Casamance, qui c’è molto verde. Il Saahara non è lontano da noi e scendendo qualche centinaio di chilometri da Dakar, a tratti, sembra di essere in Svizzera se non fosse per la mancanza delle Alpi e della neve.
Qui a Ziguinchor c’è l’Alliance, un centro culturale che vede la presenza di una grande biblioteca, internet gratuito, la casa degli artisti, un ristorante, un teatro all’aperto, una sala per esposizioni d’arte e un grande giardino.
Ma cosa facciamo…
Partiamo dal gruppo di lavoro. Per un mese abbiamo chiesto all’Alliance di invitare giovanissimi partecipanti al nostro laboratorio chiamato Afropolitan LAB. Così si iscrivono una trentina di persone. Vengono dalla città e dai tanti villaggi vicini, fanno teatro. Qui lo chiamano “teatro di sensibilizzazione”: in un villaggio c’è il problema dell’acqua e della salute. Bene, alcuni di questi ragazzi fanno uno spettacolo che racconta questo tema e lo fanno comprendere. Il teatro quindi è narrazione dal vivo che parla a una comunità specifica.
Iniziamo il nostro laboratorio, e la prima cosa che dico è: “ci piacerebbe capire se il teatro può farci incontrare anche senza sapere la stessa lingua”. E’ un’ottima sfida, io avevo scoperto da un po’ che il teatro non era solo letteratura. Il settanta per cento dell’esperienza teatrale, se è una buona esperienza, è fatta di comunicazione non verbale.
La prima parte è riscaldamento fisico, esercizi in movimento per concentrarsi. Per esempio siamo in cerchio. Uno alla volta attraversa un cerchio, sceglie un’altra persona da raggiungere e prendere il suo posto mentre la successiva persona fa lo stesso, attraversa il cerchio e va da qualcun altro. Da qui ci sono infinite variazioni insieme al ritmo della musica. E poi arrivano le palline, gialle da tennis, si lanciano in aria (prima una, poi due, poi tre) e il gruppo non deve mai farle cadere.
Questo nella prima parte, per passare poi nella seconda alle storie. Partiamo da Joel Pommerat, un autore francese che scrive un testo chiamato “La riunificazione delle due Coree”, una storia che non parla delle due Coree ma di come le persone si separano e non riescono più a tornare insieme. Ogni capitolo è una storia a sé: c’è la storia di un padre e di una madre che litigano sul destino del proprio figlio che sta per andare in guerra, la Madre racconta di un bambino e il Padre di un uomo (in tutto il capitolo non capiamo l’età effettiva di questo figlio), poi c’è la storia d’amore di una coppia - di una Lei e di un Lui - e di un Terzo che si presenta davanti a loro (un’amore d’infanzia) rievocando un passato che non c’è più e una richiesta di fuga insieme a Lei. E così via. Ci sono in quel testo diverse storie legate al “partire e restare”. Partire, da soli o con qualcuno. Restare, da soli o con qualcuno. Partire per amore o per un sogno da realizzare.
Ci sembra un ottimo pretesto per parlare di qualcosa che riguarda tutti noi. Così ogni giorno, dalle tre alle sette del pomeriggio, lavoriamo in gruppo. Le mattina invece le dedichiamo a raccogliere video-interviste sullo stesso tema: “partire e restare”. E incontriamo abitanti, militari, ragazzini delle scuole, bambini di strada.
I ragazzi che ci seguono hanno una spiccata predisposizione all’ascolto e alla creazione. Sentono un senso di timore verso la cultura occidentale, ancor più quella teatrale, e i punti di riferimento sono ancora Moliere come “letteratura teatrale ufficiale”; per questo già solo l’arrivo di drammaturgia contemporanea, come le storie di Joel Pommerat, e lo sviluppo di una storia collettiva (a partire dalla propria esperienza) è una rivelazione.
Alla fine di questo mese abbiamo presentato uno spettacolo aperto al Pubblico. Iniziava così:
L’amore è un fenomeno difettoso.
Un fenomeno sognato e desiderato.
L’amore per le partenze.
Da soli o con qualcuno.
L’amore di chi ama restare e guardare gli altri partire.
Da soli o con qualcuno.Partire senza amori.
Partire per un sogno.
Partire da bambini o da uomini.
Restare perché si è bambini o uomini.
Partire da posizioni diverse.
Partire, dividersi in due o più parti.
Attraversare un luogo tagliandolo.
Dividere il tempo.Partire, separare una persona o un gruppo di persone da altre.
Restare per contrastare sogni, interessi, sentimenti concreti.
Partire per alimentarli, questi sogni, questi interessi, questi sentimenti concreti.
Partire dando a ciascuno la sua parte.
Insomma, dopo un mese di laboratori portiamo in scena questo spettacolo chiamato “Partire / Restare” e lo replichiamo un po’ di volte nel teatro all’aperto dell’Alliance. Quello che abbiamo vissuto ha dato risposta alla domanda del primo giorno: “possiamo incontrarci con il teatro al di fuori della nostra lingua?” Sì, possiamo farlo. Basta un po’ di pazienza e la voglia di costruire qualcosa insieme.
Afropolitan LAB non è finito in quell’anno, nel 2015. Ha continuato a esistere in diversi percorsi laboratoriali che ho portato in Italia. Per esempio a Udine e a Torino, dove abbiamo realizzato belle cose ma che ora non condivido…
Ti lascio qui il video-racconto che ho fatto in Senegal legato a quell’esperienza, così puoi scoprire un po’ i volti delle persone insieme ai paesaggi che ho scoperto. Fammi sapere che ne pensi.
/// L’immagine che vedi all’inizio l’ho scattata durante i nostri laboratori. Alla fine di quella giornata uno dei ragazzi, Ibrahima, si avvicina a me e dopo aver guardato il mio orologio al polso mi dice: “a voi europei sono rimasti gli orologi, a noi il tempo”. Il tempo legato all’incontro con gli altri, al di fuori di calendari e appuntamenti. Ibrahima è fatto così, quello che pensa dice. E anche quello che sogna fa, ora si trova a Bruxelles in accademia: voleva seguire il suo sogno, partire per l’Europa e diventare un attore professionista.
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