Terrazza vista Mole
Scoprire implica un’azione: ricercare. E insomma, a furia di ricercare, un po’ di cose anche io le avevo scoperte. Mi sentivo un po’ come quelli del “teatro di ricerca”. Ricordo che a Torino c’era...
Ho imparato a “convivere” durante gli anni. A Venezia, a Roma e a Torino. Una parola d’ordine: condividere casa. Così nei primi giorni a Torino, nel 2011, cerco annunci di stanze singole. Alla fine di questa ricerca scopro che Stefania, una giovane avvocata civilista, sta mettendo insieme un bel gruppetto di coinquilini per far credere, alla Proprietaria dalla Erre Moscia, di essere amici. Il motivo è semplice: “tva amici non ci savanno casini in casa! Ne sono cevta!”…
Firmiamo il contratto di locazione con una clausola: “Stefania, oltve a te e ai tuoi amici Andvea e Pievo, vovvei che in casa ci fosse anche Mavio, un bvavissimo studente di Giuvispvudenza che viene dalla Savdegna”.
Accade che Stefania dice sì, mentre io e Piero da dietro abbassiamo la testa in segno di lutto. Temiamo il peggio con questo bvavissimo Mario, perché la Proprietaria dalla Erre Moscia ci ha detto che la madre del ragazzo vuole controllare il figlio a distanza tramite i suoi nuovi coinquilini, cioè noi. E quindi la clausola prevede non solo Mario in casa ma anche la Madre al cellulare. Poco importa, ne vale la pena.
Firmiamo il contratto di locazione dal notaio ricevendo le chiavi di un elegante appartamento sabaudo che vede, oltre alle nostre camere, un terrazzo di cento metri quadrati al quarto piano vista Campanile di Santa Zita. Certo, lo so, come immagine iconica su Torino sarebbe stato ideale avere una terrazza vista Mole, ma possiamo dire che il Campanile era comunque una buona vista.
Nei primi giorni portiamo i nostri scatoloni e iniziamo a darci qualche regola di convivenza: i turni delle pulizie ogni settimana, chi pulisce il bagno e chi la cucina, e poi una ciotola di spiccioli per la spesa comune. Oltre alla madre di Mario dalla Sardegna conosciamo anche lo Zio, un celeberrimo Giurista italiano che vive a Torino, anch’esso con la Erre Moscia, che quando aiuta il Nipote a portare gli scatoloni ci saluta dicendo: “mi vaccomando, vagazzi, non litigate. Sennò poi vengo io a favvi da pacieve”. Insieme ridiamo, poi stiamo muti, mentre il Nipote è già stravaccato sul letto e ha buttato le scarpe sporche di fango in corridoio. Lo Zio dalla Erre Moscia allora chiude la porta di casa e se ne va.
Ora ognuno può iniziare la sua vita: questo, il 2011, è ancora un anno di scoperte. Avevo scoperto molte cose nell’estate appena passata, sapevo che Torino era un luogo stimolante per ciò che mi interessava.
Scoprire implica un’azione: ricercare.
In teatro c’è proprio un termine nato nel Novecento, il “teatro di ricerca”. A un certo punto tutto ciò che non era spiegabile come teatro tradizionale, cioè gli spettacoli di repertorio (Shakespeare, Goldoni, Moliere, Pirandello), viene chiamato “teatro di ricerca”. In questo teatro di ricerca c’era tutto: dagli spettacoli di Carmelo Bene ai riti performativi di Jerzy Grotowski e del Living Theatre. Dentro il “teatro di ricerca” c’era anche il teatro fuori dai teatri, nelle scuole, nei centri di salute mentale, nelle fabbriche, nei quartieri. C’era l’animazione teatrale, che non aveva nulla a che fare con l’animazione turistica (o il truccabimbi nei compleanni) ma con l’animazione culturale e politica dei luoghi sociali. Questo lo dico perché dopo Fiorello la parola “animatore” ha acquistato un altro gusto. Bravissimo Fiorello, eh. Ma l’animazione teatrale era altra cosa. Ecco, anche questo era teatro di ricerca.
Insomma, a furia di ricercare, un po’ di cose anche io le avevo scoperte.
Mi sentivo un po’ come quelli del “teatro di ricerca”.
Ricordo che a Torino c’era una Fondazione chiamata Teatro Ragazzi e Giovani, una sorta di multisala che vedeva diverse realtà storiche gestire un teatrone con laboratori e spettacoli per le nuove generazioni. Qui inizio a seguire alcuni corsi formativi di “animazione teatrale” dedicati al fare teatro con i ragazzi.
Ricordo poi che a Torino c’era una cooperativa che conoscevo e che si occupava di teatro educativo. Gigi, il fondatore, insieme ad altri suoi collaboratori come Paola, Simone, Cristian, li avevo già conosciuti qualche anno prima in giro per l’Italia. Quando sanno della mia presenza in città mi chiedono di condurre un po’ di laboratori annuali nelle scuole superiori. Accetto.
Ricordo, poi, che vicino a Torino, c’è Settimo, la cittadina di periferia dove abitava Vacis e la moglie Antonia, che avevo visto pochi mesi prima durante la scuola estiva alla Cittadella di Alessandria. Ogni tanto ci vado: prendo il trenino che collega Torino Porta Susa a Settimo, e in dodici minuti sono lì. Quando pranzo con loro racconto le mie scoperte in città e, un giorno, Antonia mi racconta del nuovo progetto che stava immaginando con Gabriele per il Teatro Stabile di Torino. Un progetto, non solo uno spettacolo. Si chiamava “Cerchiamo Bellezza”: un percorso di laboratori nelle scuole superiori che avrebbe portato a uno spettacolo in cartellone allo Stabile.
Ricordo, infine, che il Friuli mi richiamava; questa volta per lavorare. Un’attrice friulana di teatro ragazzi, Serena, mi chiede di scrivere un testo per lei. Aveva letto qualche mia storia e così mi invita a collaborare per una produzione di Arci e Libera contro le Mafie. Scriviamo “Scarica di nubi” e tra un impegno e l’altro a Torino organizzo anche un calendario di ritorni a Udine per lavorare in prova e fare le repliche di questo spettacolo.
Il primo anno a Torino passa velocemente e nelle notti più insonni inizio a scrivere anche un’idea di progetto chiamato “EduScé LAB”. L’idea era molto semplice: organizzare alcuni weekend in giro per l’Italia (non solo a Torino) aperti a tutte le persone interessate. Laboratori di educazione alla scena e scrittura teatrale condotti da me e altri collaboratori. Volevo comprendere come trasformare un’idea in azione concreta: costruire un progetto.
E i coinquilini della casa? Bè, le notti insonni erano legate a loro. In una manciata di mesi avevamo accumulato una certa dose di esperienze disagianti: il bvavissimo Mario tornava a casa all’alba prendendo il Taxi senza avere soldi, così per pagarselo servivamo noi; l’avvocata Stefania si era fatta intenerire da un cagnolino abbandonato in autostrada e lo teneva nella sua camera tutto il giorno, salvo poi scoprire che quella stanza lo aveva reso un cane particolarmente aggressivo che assaltava tutto ciò che non era la sua Padrona, e infine, solo infine, una lettera di diffida da parte dell’Amministratore a causa di un piccolo danno commesso da Piero: una lunga striscia rossa di vino, tipo rigagnolo, lungo la parete delle scale, dal quarto piano a scendere.
Difficile dormire tranquilli,
e allora mi rifugiavo nella scrittura.
Un ottimo rifugio, dirai tu.
/// L’immagine che vedi sopra l’ho scattata nel 2012, quello che vedi nella foto è uno dei miei primi collaboratori di EduScé LAB, ma te lo racconto la prossima volta…