Tutta la città è un palcoscenico
Il teatro può essere anche questo, racconto di città e scoperta delle sue comunità locali. Ma com’è possibile tenerle vicino? In che modo dar loro spazio? A Torino, nel quartiere Campidoglio …
In centro città, a Torino, l’esperienza della Cavallerizza proseguiva con le sue contraddizioni. E nel 2015, a pochi chilometri dal centro, a Campidoglio, avevo conosciuto un gruppo di abitanti che facevano attivismo civico.
Questi abitanti di diverse età avevano creato una serie di iniziative di quartiere chiamate Occupy Campidoglio (in quegli anni era in voga il termine “occupy”): gli abitanti aprivano i cortili delle case e dei condomini per fare concerti, spettacoli e cene di comunità. Non solo, a volte prendevano una sedia da casa e se la portavano in qualche piazza poco frequentata (magari conosciuta anzitutto per lo spaccio). Insieme a una sedia portavano un libro che amavano tanto e iniziavano a raccontarselo. E chi voleva, di settimana in settimana, si univa a loro. E dopo qualche mese la piazzetta diventava qualcosa di cui andare fieri, donando una nuova luce a quella piazza e portando via per qualche istante lo spaccio.
Campidoglio è un quartierino simpatico, si trova a pochi minuti da San Donato e dalla Stazione di Porta Susa. Le piccole strade sono in ciottolato, sulle pareti delle case si trovano anche opere d’arte che fanno parte del MAU - Museo Arte Urbana; e poi questo quartiere ha visto anche la presenza di nomi celebri come Marcello Mastroianni (quando era piccolissimo, non ancora così celebre, aveva vissuto a Torino).
Il nostro collettivo, CO.H, dopo l’esperienza a San Salvario viene coinvolto nella gestione di uno spazio comunale proprio lì. Il posto è un Ecomuseo Urbano e insieme a noi, nella gestione, ci sono anche altri gruppi, per esempio un collettivo di studentesse e studenti del Politecnico (De:forma), un’associazione di psicologi (Giocodinsieme), gli abitanti attivi (EcoBorgo Campidoglio), una società di produzione cinematografica (Fert) e un’associazione legata a persone con disabilità (AIPS).
Quello che facciamo è semplice, da una parte costruiamo una programmazione di attività per questo nuovo centro culturale riaperto, dall’altra facilitiamo la realizzazione di eventi di quartiere insieme agli abitanti già così motivati a fare comunità e a proporre attività ri-socializzanti.
Cosa ricordo? Ricordo i laboratori e gli incontri che abbiamo realizzato per il Salone del Libro Off, ricordo una serata-tributo a Mastroianni in un cortile nascosto e di rara bellezza, ricordo un evento organizzato dentro allo storico tram 13 con un nostro audio-racconto in cuffia per il Pubblico, una mostra fotografica con i volti degli abitanti e un djset con musica elettronica, le prove all’Ecomuseo e le storie per ragazzi che ho scritto con Marta, ricordo la sera che ho conosciuto Giulia insieme a tutti i futuri possibili che abbiamo iniziato a immaginare da quell’anno in avanti.
E infine, ricordo che da questa esperienza ho compreso una cosa, che la città (come il mondo, direbbe Shakespeare) è un palcoscenico. E inizio a pensare che Italo Calvino aveva ragione, le città sono come i sogni, fatte di paure e desideri. E insieme a lui anche altri autori iniziano a farmi da guida in questa ricerca: Peter Szondi e il suo consiglio di guardare le città con gli occhi del bambino che più non siamo o Georges Perec e la sua prospettiva sulle cose poco utili ma necessarie, come una strada, un tavolino di un bar, le proprie tasche insieme al resto delle cose, delle persone e delle nuvole.
Scopro così che il teatro può essere anche questo, racconto di città e scoperta delle sue comunità locali. Ma come è possibile tenerle insieme? In che modo dare loro il giusto spazio con la mediazione artistica? Qualche risposta nel tempo l’ho trovata. E a breve vorrei parlartene…
/// L’immagine che vedi all’inizio è uno degli eventi estivi che avevamo organizzato all’aperto, nel 2015, proprio in Piazza Ludwik (la piazzetta di cui parlo in questo racconto).
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