Che cos'hai da perdere?
Nel 2017 ricevo una telefonata da ZONA K. Valentina mi racconta di un nuovo progetto teatrale - Generazione gLocale - sostenuto dal Comune di Milano e dal Ministero della Cultura. Poi mi chiede...
A Isola c’ero stato qualche anno prima con lo spettacolo che avevo scritto insieme a Enoch (lo racconto qui: link). Nel 2017 Isola era uno dei quartieri di Milano in radicale trasformazione. Un grande cantiere urbano a cielo aperto dove potevi trovare la costruzione della Biblioteca degli Alberi, la Casa della Memoria o il Bosco Verticale insieme alle piccole ferramenta e alle trattorie popolari dove negli anni Settanta avresti incontrato Dario Fo.
Isola era protagonista di una mutazione chiamata anche gentrification o in altre parole: insieme alla bellezza di una città che cambia volto velocemente puoi trovare dietro l’angolo speculazioni edilizie, esplosione di locali commerciali per la vita notturna, chiusura delle piccole realtà locali e allontanamento delle classi sociali più fragili a causa dei costi alti.
Insomma, qualche anno prima - insieme ad Enoch - ero stato ospite a ZONA K, un piccolo teatro dove si respirava un po’ di Europa del Nord. All’entrata potevi trovare pareti bianchissime e grandi locandine; sembrava di stare in un centro d’arte contemporanea più che in un teatro. Proseguendo poi lungo il corridoio arrivavi all’interno di una sala adattabile a ogni forma creativa: laboratori, conferenze, spettacoli, meeting internazionali, video-installazioni…
Arriva il 2017 e ricevo una telefonata da Valentina, co-fondatrice di ZK insieme a un’altra Valentina. Mi racconta di un nuovo progetto teatrale - Generazione gLocale - che stavano per produrre con il sostegno del Comune di Milano e del Ministero della Cultura in una particolare sezione chiamata MigrArti. Mi chiede: “ti andrebbe di curarne la regia?”
Quando qualcuno ti invita a curare la direzione di un nuovo percorso le cose più interessanti sono i confini progettuali. Mi faccio raccontare qualcosa in più per capirne i confini, appunto, e quale poteva essere lo sviluppo.
Valentina mi presenta le “regole del gioco”: uno dei loro desideri era quello di produrre uno spettacolo di teatro partecipativo con cuffie audio Wi-Fi. In quegli anni s’iniziava a definire questo nome - teatro partecipativo - intendendo spettacoli dove i Protagonisti non erano gli Attori ma il Pubblico. Sì, lo so, magari ti suona strano ma in quegli anni iniziavano a diffondersi spettacoli dove gli Spettatori erano invitati ad osservare e, in taluni casi, anche ad agire, a seguire delle istruzioni e scoprire una storia non solo con le orecchie ma anche con il proprio corpo. Era un ulteriore tentativo per avvicinare nuove persone all’esperienza teatrale (poco attrattiva per le nuove generazioni). Questa modalità non escludeva quella tradizionale, semplicemente ampliava la proposta culturale degli spettacoli dal vivo. Una sorta di dieta culturale variegata.
Con i termini e le etichette si finisce sempre per sbagliare ma in qualche modo “teatro partecipativo” era il modo per intendere questo: creare spettacoli dove il Pubblico era protagonista durante l’evento stesso e, volendo, durante il processo di co-creazione artistica. E negli ultimi tempi ZONA K stava focalizzando con più precisione la propria identità seguendo questo filone all’interno della propria stagione teatrale.
“Bene, primo confine scoperto. E poi, Valentina, ce ne sono altri?”
“Certo”, mi dice, “poi sarebbe bello coinvolgere un gruppo di adolescenti di seconda generazione nel ruolo di Protagonisti e co-creatori. Con loro potresti fare un laboratorio di narrazione per arrivare alla scrittura dello spettacolo”.
Seconda generazione, sì. Ragazzi e ragazze nati a Milano da genitori extra-europei. E a Milano ce ne erano tanti, ma non solo lì, anche in altre parti d’Italia. E in effetti dare voce a quella generazione poteva essere molto interessante.
“E poi, Valentina, c’è ancora altro?”
“Certo! Ancora una cosa”, rilancia, “potresti farti delle belle chiacchierate con Roger; così magari definite insieme il dispositivo partecipativo”. Io, Roger Bernat, lo avevo conosciuto l’estate prima alla Biennale Teatro College di Venezia. Lui era uno dei “maestri ospiti”, faceva parte della generazione dei “padri”, e mi aveva selezionato all’interno di una sua masterclass di teatro partecipativo. In quell’estate ci eravamo particolarmente divertiti a costruire una performance di chiusura masterclass chiamata “Manipolazioni” dove il Pubblico poteva essere coinvolto attivamente o semplicemente potere restare lì fermo a guardare… Roger era una sorta di guru delle esperienze partecipative e girava il mondo. Era un ottimo supervisore. Anche lui conosceva ZONA K proprio perché era stato ospite della stagione teatrale appena passata.
“Ok, mi sembra un ottimo stim…”
“Ultimissima cosa! Il debutto sarà in estate al Castello Sforzesco. E ora…”
“E ora?”
“E ora è davvero tutto!”
Ok, stupendo scoprire i confini progettuali.
E qui ne avevo un po’.
Accetto, firmo il contratto e iniziamo a lavorare.
Per qualche mese incontro ogni settimana una quindicina di adolescenti di seconda generazione. Sono legati ad alcune realtà sociali, come la Cooperativa Diapason e l’Associazione Asnada. C’è Momo, origine siriana, che osserva tutto in silenzio e comprende subito cosa fare (anche se non ha mai fatto teatro); poi Anes, che conosce perfettamente tutti i quartieri di Milano (per motivi non dichiarati); e ancora Kausar e Imane, che si accorgono sempre di ciò di cui hanno bisogno gli altri. E poi Jahouer, Mariam, Sabina, Sumaya… E tutti gli altri…
Durante i laboratori scopriamo un sacco di cose e proviamo a rispondere ad alcune domande, per esempio “in quali luoghi di Milano ti senti in pericolo e in quali ti senti a casa?”, “raccontami un luogo straordinario che ti appartiene” oppure “condividi cinque luoghi che compongono la mappa della tua vita”. Domande di cui non sappiamo già la risposta. Domande che generano altre domande.
E così arriviamo a una storia collettiva che racconta l’identikit degli adolescenti e rivela, in parte, anche quello degli spettatori. Poi troviamo un particolare modo per costruire questo incontro con il Pubblico registrando le voci e sapendo che allo spettacolo finale avremo tutti un paio di cuffie audio Wi-Fi, sia gli Attori che il Pubblico. Proviamo anche a immaginare alcune domande-provocazioni per gli spettatori e le registriamo in audio: mi regali qualcosa di tuo? Qualcosa è cambiato tra me e te? Cosa ti aspetti da noi? Vuoi togliere le cuffie per emanciparti? Passiamo altri minuti in silenzio? Che cos’hai da perdere? Sono domande che non esigono risposte ma che possono far nascere comunque una reazione. E insieme alle parole in cuffia durante lo spettacolo ci saranno anche un po’ di azioni e “sfide” con il Pubblico, alcune coreografie con musica e qualche oggetto di scena che possa servire per l’interazione…
Così, nell’estate del 2017, debuttiamo con questo spettacolo al Castello Sforzesco di Milano, e negli anni a seguire portiamo lo stesso format di laboratori e spettacoli in altre città italiane incontrando più di cinquecento adolescenti; fino all’ultima tappa con un gruppo di adolescenti di Crema al festival Close Up 2022. E posso dire che una idea un po’ più chiara di cosa sia questa “generazione glocale” me la sono fatta solo che….
Solo che?
Solo che il tempo sta per finire, e allora ti lascio con quello che abbiamo scritto come foglio di sala per gli Spettatori prima dell’inizio di questo spettacolo. E insieme a questo, sotto, puoi trovare anche un video-racconto dell’esperienza:
Benvenuti a Generazione gLocale.
Per l’intera durata dello spettacolo riceverai in dotazione cuffie audio wi-fi.
I protagonisti di questa storia sarete voi, Pubblico, e noi, Attori.
Una squadra sarà il riflesso dell’altra. Uno specchio, uno scontro, una differenza.
Una battaglia d’identità. Una lotta di classe generazionale.
Ti chiederemo di “agire” ma senza parlare.
In questo spettacolo potrai liberamente rispondere con gesti e movimenti.
Potrai avvicinarti o allontanarti da noi.
Mantenere la giusta distanza o stare fermo, se non saprai cosa fare.
Saremo divisi solo da una linea.
In altre parole vorremmo costruire con te un luogo dove fare accadere quasi tutto.
Quasi, altrimenti sarebbe utopia.
Ora tocca a te, che fai?
/// L’immagine che vedi all’inizio è stata scattata da Alice Durigatto nel 2019 in una delle successive repliche di questo progetto: eravamo a Udine durante i giorni del festival Vicino/Lontano dove avevamo coinvolto le Classi dell’Istituto Professionale Ceconi di Udine. Magari più avanti potrei raccontarti anche cosa è accaduto lì…
/// Sto ricevendo diverse risposte a questo punto, ne sono felice. Ti rinnovo l’invito perché mi piacerebbe costruire qualcosa insieme: se vorrai in una delle prossime volte mi piacerebbe inviarti delle domande scritte e leggere io - grazie alle risposte - alcune tue storie, anche piccolissime. Potrebbe essere una piccola parentesi per qualche racconto collettivo di Precise storie. Basterà fare “rispondi” a questa mail (se stai leggendo questa storia dal tuo indirizzo mail) scrivendo “Va bene, ci sto!” e la tua risposta mi arriverà direttamente. Oppure se ti è più comodo, quando vorrai, basterà scrivermi a questo indirizzo: precisestorie@andreaciommiento.it.
/// Lo sai, se ti fa piacere c’è un modo per interagire con queste storie. Puoi cliccare qui sotto scegliendo tra i bottoni: “Like” (per dire che ti è piaciuto questo racconto), “Comment” (per scrivere tu un pensiero o qualcosa che pensi sia collegato a quello che hai letto) , “Share” (per condividere il link a qualche persona vicina a te via mail, via Facebook, Instagram, WhatsApp o Twitter). Fammi sapere se interagirai :-)