Un posto pulito e illuminato bene
Nel 2017 trovo un messaggio di Gabriele Vacis su WhatsApp: stava iniziando un nuovo progetto per il Teatro Stabile di Torino. Un percorso di laboratori che portavano il teatro fuori dal teatro...
L’ultima volta che avevo sentito Gabriele Vacis era gennaio. In quelle settimane, all’inizio del 2017, era arrivata la neve a Torino e sembrava una gioia per gli occhi. Bastavano dieci centimetri di un paesaggio bianco per sentirsi un po’ più felici. Perché la neve - oramai - era un fenomeno raro e straordinario; uno dei pochi fenomeni che riusciva ancora a incantare il tempo.
Così ricevo un messaggio WhatsApp di Gabriele che dice: “Andrea, vediamoci. Ho una cosa da raccontarti…”. Vacis stava per iniziare un nuovo progetto per il Teatro Stabile di Torino, si chiamava Istituto di Pratiche Teatrali per la Cura della Persona, ed era in un certo senso il proseguimento di un altro percorso chiamato “Cerchiamo Bellezza” che Gabriele aveva curato qualche anno prima con Antonia Spaliviero.
Antonia era sempre stata una collaboratrice di Gabriele (nonché sua moglie) e aveva fatto parte del Laboratorio Teatro Settimo, la cooperativa teatrale che negli anni Ottanta e Novanta aveva realizzato laboratori e spettacoli insieme ad altri compagni di viaggio come Marco Paolini, Eugenio Allegri, Lucio Diana, Laura Curino, Roberto Tarasco…
Antonia aveva un particolare talento: farti sentire a casa e lasciare spazio all’ascolto. Io mi ero sentito “a casa”, con lei, dal primo momento in cui l’avevo conosciuta alla Cittadella del teatro (lo racconto qui: link); parlava di cose che mi appartenevano: il teatro nei contesti educativi e sociali, l’animazione teatrale, la progettazione di percorsi teatrali fuori dal teatro… E nel tempo avevo spesso condiviso il mio percorso anche solo per il piacere di condividerlo, un po’ come faccio qui su Precise Storie. A volte di persona, a volte via mail.
Uno dei suoi ultimi messaggi era, per esempio, questo: “Caro Andrea, mi fa sempre piacere avere tue notizie e vedere che procedi con buona lena nel costruire un tuo percorso di lavoro e artistico. La mia salute rimane precaria e la lotta sarà lunga e dura. Spero di avere la forza di farcela.... In bocca al lupo e tienimi sempre al corrente. Ti abbraccio e fai del bello e del bene. Antonia”.
Io, fino a quando ho potuto, l’ho tenuta sempre al corrente. E insieme a lei anche Gabriele. E proprio qualche settimana prima che la sua vita finisse, nel 2015, inviai anche un piccolo video del lavoro che stavo facendo in Senegal.
Gabriele mi scrive: “Caro Andrea, ti rispondo dall'ospedale...” e insieme a questo mi racconta di aver mostrato il video ad Antonia, di averle regalato qualche goccia di vita e di averle strappato anche un sorriso. Così nel 2015 Antonia lascia questo mondo e da quel momento tutti noi che l’avevamo conosciuta ci siamo sentiti un po’ più soli.
Poi nel 2017, a distanza di qualche anno, nasce l’Istituto.
Un progetto che Antonia avrebbe amato molto.
Come fare adesso?
Gabriele prova a rimettere insieme i pezzi, a costruire un buon gruppo di lavoro, che poi è quello che ha sempre fatto bene: costruire gruppi e condurli. C’è Roberto Tarasco, anche lui animatore del fu Teatro Settimo. Ama definirsi scenofono e in diverse occasioni ha dichiarato di essere un “lemma della Treccani” (link). Roberto è molte cose: creatore scenico, organizzatore, allestitore e - appunto - scenofono. Ha una spiccata voglia di fare, fare, fare. Insieme a Gabriele, con la sua spiccata attitudine a stare, stare, stare creano un equilibrio inedito. Poi c’è Barbara Bonriposi, ha fatto la Paolo Grassi di Milano, una rinomata scuola d’arte drammatica, e ha conosciuto Gabriele lì perché è stato un suo insegnante. Lei sa benissimo come condurre un “training” e sa dare senso all’azione fisica nei laboratori. Anche Matteo, molto più giovane di lei, ha questo talento. E poi io, chiamato a occuparmi del coordinamento delle attività, in altre parole: progettare e organizzare gli incontri, i laboratori e gli eventi di comunità; tenere vive le relazioni e le collaborazioni tra noi, gli Uffici dello Stabile (aggiornandosi soprattutto con Lorenzo e Barbara), i tanti partecipanti e i diversi collaboratori che hanno fatto parte di questo percorso. Come Gerald, Giuseppe, Angelo, Francesco, Gloria, Alberto, Carlo, Gio, Simone, Michele, Giulietta, Davide e ancora molti altri.
Un’introduzione al progetto era questa:
Il teatro nasce dalle pratiche catartiche e di cura. Da sempre impiega le proprie tecniche oltre lo spettacolo: lo psicodramma, la musicoterapia, la danza come antidoto alla nostra vita statica, l’animazione nelle periferie più degradate, sono consuetudini diffuse e ormai popolari. Si impiega la narrazione in campo medico e il gioco teatrale nella gestione delle disabilità. Tutte queste azioni si fondano sulla consapevolezza di sé, degli altri, del tempo e dello spazio, che è alla base del teatro di ogni tempo.
Oggi c’è molta più gente che fa teatro, che danza, di quanta non vada a vederlo teatro e danza. Grandi registi e grandi attori hanno ispirato queste strade del teatro da più di un secolo. E oggi accade che molti artisti non percepiscano più l’azione sociale come un dovere civile o una benevola elargizione. Il coinvolgimento del cittadino, della persona, nel lavoro artistico è ormai la poetica di molti attori, drammaturghi, registi. Il nostro presente tecnologico produce forme a getto continuo: l’arte non è più solo creazione di forme ma anche e soprattutto inclusione.
L’Istituto proponeva diversi laboratori legati alla Narrazione, al Canto e all’Azione. E una delle pratiche che hanno connotato le attività dell’Istituto era la Schiera. La Schiera è uno strumento flessibile di ricerca, sensibile a chi lo conduce, a chi lo abita, e a chi lo osserva. Il risultato è uno “stormo” che si muove all’interno di uno spazio determinato dalla relazione tra le persone in scena, e da quella con gli osservatori. Un coro che si racconta in azioni, improvvisazioni vocali e narrazioni.
Gabriele la racconta così:
Schiera è una pratica d’attenzione. Pratica perché non è sempre afferrabile teoricamente, perché richiede un’applicazione costante nel tempo. È una pratica e non un esercizio perché include molti esercizi. È una pratica e non un metodo perché non tende a raggiungere una conoscenza certa, ma collabora con l’incertezza. Non è un metodo perché non è generalizzabile: dipende dalle persone che la praticano, dalla loro sensibilità. Schiera è una pratica d’attenzione perché parte dal camminare, ma ricompone esercizi corporali ed esercizi spirituali. Schiera nasce nel teatro, ma con il tempo ha esteso la propria applicazione in diversi ambiti della cura della persona.
Il lavoro di quegli anni mi ha insegnato una cosa: l’importanza delle parole, del loro significato esatto. Le parole si consumano, hanno bisogno di cure continue, sennò si ammalano.
Una parola molto malata, per esempio, è “sicurezza”. La sicurezza è un sentimento. Un sentimento intimo, complesso, assolutamente soggettivo. Qualcosa che trattano i poeti. La sicurezza non è la protezione del cittadino, non vuol dire convivenza, non è sinonimo di salute. E’ qualcosa che ha molto a che fare con il sentirsi - al sicuro - tra le braccia di qualcuno piuttosto che sorvegliati da videocamere. Per la protezione dei cittadini si possono prendere misure di polizia. Per la convivenza, che è la grande scommessa del nostro tempo, si possono organizzare progetti. L’Istituto ha provato, quindi, ad essere un progetto in cui sentirsi “al sicuro”.
Avevamo un mandato dagli enti sostenitori, la Regione Piemonte e la Fondazione San Paolo; sviluppare un progetto artistico che rispondesse a uno specifico bisogno sociale: l’emergenza migranti (di questo tema ne parlo anche qui: link), la convivenza con loro: l’Altro diverso da noi.
L’Istituto, dalla primavera del 2017 al 2019, e in altre forme negli anni a seguire, ha incontrato “stormi” di persone: da operatori sociali a migranti, da psicologi a utenti dei centri di salute mentale, da insegnanti a studenti delle scuole superiori di Torino e del Piemonte. Di questa circolazione di vite ha fatto parte anche uno spettacolo - Cuore/Tenebra - che prende spunto da Cuore di De Amicis e da Cuore di tenebra di Conrad. Qui abbiamo lavorato sul tema delle migrazioni e della scuola con molti ragazzi e ragazze delle superiori di Torino (come l’Istituto Boselli, il Liceo Gobetti, il Liceo D’Azeglio, il Primo Liceo Artistico), di Settimo (Istituto VIII Marzo) e di Novara (Convitto Carlo Alberto). E abbiamo coinvolto anche qualche ospite che potesse curare una “lezione” sul palco del Teatro Carignano agli eventi di chiusura: Lella Costa, Alessandro d’Avenia, Aldo Cazzullo, Benedetta Tobagi, Nicola Lagioia, Gabriele Ferraris, Domenico Quirico, Suor Giuliana Galli …
L’Istituto è stato anzitutto questo: un percorso teatrale fondato su pratiche di convivenza. Queste pratiche hanno fatto nascere storie che hanno allargato la nostra percezione, che ci hanno fatto sentire al sicuro, che ci hanno aiutato a vincere le nostre paure.
Siamo partiti convinti di scoprire un fenomeno, quello dell’emergenza migranti, e siamo finiti per conoscere delle persone. E forse quello che ci serve oggi è proprio la conoscenza, per saper stare in un “posto pulito e illuminato bene” direbbe Hemingway, uno nelle mani dell’Altro, senza averne paura.
Ti lascio un video-racconto legato a questa esperienza. Dura poco, meno di un quarto d’ora, e vale la pena guardarlo:
/// L’immagine che vedi all’inizio è stata scattata durante l’Awareness Campus del 2017 alle Fonderie Limone di Moncalieri (Torino), uno dei luoghi gestiti dal Teatro Stabile di Torino. Quello che vedi era un esercizio di attenzione.
/// Sto ricevendo diverse risposte a questo punto, ne sono felice. Ti rinnovo l’invito perché mi piacerebbe costruire qualcosa insieme: se vorrai in una delle prossime volte mi piacerebbe inviarti delle domande scritte e leggere io - grazie alle risposte - alcune tue storie, anche piccolissime. Potrebbe essere una piccola parentesi per qualche racconto collettivo di Precise storie. Basterà fare “rispondi” a questa mail (se stai leggendo questa storia dal tuo indirizzo mail) scrivendo “Va bene, ci sto!” e la tua risposta mi arriverà direttamente. Oppure se ti è più comodo, quando vorrai, basterà scrivermi a questo indirizzo: precisestorie@andreaciommiento.it.
/// Lo sai, se ti fa piacere c’è un modo per interagire con queste storie. Puoi cliccare qui sotto scegliendo tra i bottoni: “Like” (per dire che ti è piaciuto questo racconto), “Comment” (per scrivere tu un pensiero o qualcosa che pensi sia collegato a quello che hai letto) , “Share” (per condividere il link a qualche persona vicina a te via mail, via Facebook, Instagram, WhatsApp o Twitter). Fammi sapere se interagirai :-)